Fonte: Antonio Preti, Paola Miotto:
Suicide among eminent artists.
Psychological Reports, 1999; 84:
291-301
Se la relazione tra creatività e
psicopatologia è reale, in che modo la psicopatologia influenza
lespressione creativa?
Abbiamo detto prima che una delle
caratteristiche della creatività è ottenere consenso per i
propri prodotti. Secondo unipotesi, la malattia mentale
favorirebbe lautoaffermazione. In effetti esistono alcune
situazioni nelle quali individui sofferenti di patologia mentale
con tratti paranoidei non particolarmente grave, riuscirebbero
meglio dei sani ad acquisire la leadership in un gruppo. Anche i
maniaco-depressivi sembrano avere una particolare propensione ad
eccellere, soprattutto quando provenienti da ceti sociali già
avvantaggiati. Nellanoressia nervosa si riconosce una
particolare tenacia nel raggiungimento dei propri obiettivi, che
potrebbe spiegare lemergere di questi soggetti in
professioni competitive come quelle delle ballerine o delle
modelle.
Unaltra ipotesi sostiene che la malattia
mentale favorisca di per sé la creatività. Al proposito sono
citati come esempio la tendenza ad associazioni di idee inusuali
nella schizofrenia, che favorirebbero lemergere di idee
originali, e ciò sembra vero almeno nel campo della ricerca
scientifica in cui si contano alcuni grandi scienziati (un
esempio è costituito dal nobel per l'economia Nash) che
soffrivano di schizofrenia. Il flusso accelerato nella mania
potrebbe anchesso favorire la creazione artistica,
soprattutto in campo letterario (Stream of consciusness di Joyce);
laccesso a stati meditativi ed al ragionamento potrebbe
invece essere favorito dagli stati depressivi. E stato
dimostrato in effetti che soggetti depressi, non gravi, hanno una
maggiore capacità di giudizio rispetto ai sani, soprattutto in
situazioni ambigue.
La malattia mentale potrebbe favorire la
creatività in via indiretta, attraverso processi di
disinibizione. Molti disturbi mentali, infatti, si accompagnano
ad impulsività; questo potrebbe facilitare limpegnarsi in
progetti che altrimenti non verrebbero mai iniziati. Fenomeni di
facilitazione sono peraltro descritti per specifiche capacità:
esistono descrizioni cliniche di persone che dopo un ictus che
aveva leso una parte ristretta della zona limbica, area deputata
al controllo delle emozioni, avevano sviluppato interessi
artistici, in particolare nel campo della pittura, che prima mai
avevano coltivato. Particolare talento in ambito grafico sembrano
possedere anche bambini autistici, peraltro privi di capacità
relazionali.
Un effetto di tipo disinibitorio è riconosciuto
anche per sostanze come lalcool, la cocaina ed altri agenti
psicoattivi (le "droghe"). Un numero ampio di poeti e
scrittori, ma anche di pittori, soffrì di alcolismo (tra gli
altri Hemingway). Un ruolo delle droghe è riconosciuto anche
nella creatività nel campo della musica moderna, ma in questo
caso è dubbio se abbiano agito in senso favorente la creatività
o siano state usate a scopi autoterapici.
Alcuni aspetti della malattia mentale
potrebbero infine incrementare la creatività per un effetto di
massa, in quanto sarebbe aumentata la produttività, cioè il
numero di oggetti prodotti. E una caratteristica della
schizofrenia la perseverazione, cioè la ripetizione di parole,
gesti o comportamenti. Anche nella mania cè una tendenza
ad un aumentato coinvolgimento in attività di ogni genere (affaccendamento).
Interpretazioni sociologiche attribuiscono il
legame tra creatività e malattia mentale ad un processo di
selezione nella scelta della professione. Poiché le attività
creative possono essere discontinue, esse sono anche compatibili
con le irregolarità e le ricadute della malattia mentale. E
possibile quindi che si selezionino in queste professioni
soggetti sofferenti di un disturbo mentale.
Unaltra ipotesi ancora sostiene che la
professione creativa, in quanto espone allinsuccesso e alle
difficoltà economiche, favorirebbe lo sviluppo di disturbi
mentali, soprattutto di tipo ansioso o depressivo. Sappiamo
infatti che lo stress favorisce il precipitare di disturbi
psichici. In alcuni casi, ad esempio, insuccessi legati allattività
creativa hanno condotto al suicidio, per esempio lo scrittore
Morselli.
Unipotesi di tipo biologico, al contrario,
suggerisce che un medesimo fattore favorisca le capacità
cognitive legate alla creatività, ma condizioni anche un rischio
maggiore di sviluppare disturbi mentali. I circuiti della
dopamina, ad esempio, sono coinvolti nei processi di selezione
del segnale e delle informazioni come anche nei processi di
memoria. Una loro instabilità, però, è osservata nelle
reazioni anomale allo stress, nella depressione e nella
schizofrenia.
In una prospettiva terapeutica è interessante
lipotesi che vede la relazione tra creatività e
psicopatologia in direzione opposta a quella fin qui descritta.
Secondo la nostra ipotesi, la creatività eserciterebbe un
effetto protettivo sulla psicopatologia. Chi ha il dono di
sapersi esprimere creativamente in virtù del potere di
integrazione dei vissuti nellagire creativo tollererà
meglio la sofferenza mentale. Per conseguenza sarà più facile
che un soggetto creativo superi le conseguenze negative della
malattia mentale e conservi la capacità di essere produttivo in
una forma condivisibile ai più.
Noi sappiamo che la malattia
mentale compromette non solo ladattamento socio-relazionale,
ma anche la capacità stessa di organizzare la comunicazione tra
mondo interno e realtà esterna. Levento creativo in
qualche modo ripristina la capacità comunicativa in quanto
attinge alla dimensione simbolica dei vissuti interni, guidandone
lespressione allinterno dei limiti formali che sono
propri della specificità tecnica adottata (il pittore dovrà
conoscere la tecnica pittorica, il musicista le regole della
composizione e così via).
Ed è proprio questa felice unione fra il magma
polivalente dei simboli e i limiti imposti dalla tecnica che dà
origine o permette il ripristino del potenziale di comunicazione
che la malattia mentale potrebbe aver interrotto. Per esempio la
associazione simbolica del delirio può trovare un senso ed un
ordine nellimmagine visionaria fissata dalla parola poetica.
Già Otto Rank, allievo prediletto e poi ripudiato di Sigmund
Freud, riteneva che la creazione artistica traesse spunto dai
conflitti irrisolti dellinconscio, che trovavano soluzione
formale in forma sublimata nelloggetto artistico. Tale
prodotto poteva a sua volta esser goduto come piacere estetico da
parte dei fruitori, che avevano modo di proiettare nellopera
finita quelle tensioni e contraddizioni che appartengono al mondo
interno di ognuno. Uninterpretazione, questa, che richiama
quella aristotelica della catarsi delle emozioni. Secondo
Aristotele lopera teatrale della tragedia esercitava il suo
potere intellettivo sullo spettatore proprio perché lazione
dei personaggi permetteva lo sciogliersi delle tensioni emotive
accumulate nella vita quotidiana.
Ci sembra che il senso dellArt Therapy
consista proprio nel permettere di riappropriarsi attraverso la
coerenza del gesto artistico del rapporto fra il proprio mondo
simbolico e la necessità della comunicazione. Il simbolo si
costituisce come parte delloggetto che rimanda ad una sua
interezza, persa in quanto irrimediabilmente frammentata, ma che
nellincontro con lAltro può trovare occasione di
ricongiungimento.
Esiste un mito greco sullorigine della
parola simbolo, che conserva un fascino inalterato dal
trascorrere dei tempi. Simballein in greco significa <riunire>.
Il mito racconta che in tempi antichi, quando due amici si
separavano per andare incontro al proprio destino spezzavano in
due una tavoletta con inciso un cartiglio (un disegno particolare,
unico per ogni coppia di amici); questa tavoletta era chiamata
<simbolon>. Se in un futuro lontano si fossero ritrovati,
trasformati dalle circostanze della vita, essi avrebbero potuto
riconoscersi mettendo insieme i due frammenti delloriginale
"simbolon", il cui cartiglio avrebbe ritrovato
significato proprio da questo ricongiungimento.
LArt Therapy diventa quindi occasione di
ricongiungimento di parti frammentate del Sé nellincontro
con lAltro da Sé. Nella sessione di art therapy lAltro
da sé ha uno statuto collettivo, lAltro è appunto il
gruppo che ha nel maestro darte il suo leader, e che
permette il confronto nello scambio comunicativo con quelle parti
di sé espulse perché difficili da accettare o non riconosciute
perché occultate a causa dellangoscia che evocano.
Passo successivo allagire creativo a
scopi terapeutici è il completo riappropriarsi della capacità
di comunicazione che prescinda dal continuo confronto con i lati
bui della nostra mente. Nel parlare e nel vivere quotidiano,
infatti, non sentiamo la necessità di decodificare i simboli del
nostro mondo interno, che affiorano spontaneamente nei nostri
atti.
Vorremmo concludere con una provocazione, un
aneddoto che risale allepoca eroica degli esperimenti che
condussero alla chiusura dei manicomi. Racconta la pittrice
Rosalba Rossi, che conduceva un atelier di art therapy allinterno
dellospedale psichiatrico di Cagliari negli anni settanta:
<<Stavamo dipingendo insieme, un gruppo di pazienti ed io.
Ad un certo punto uno dei pazienti mi disse: "perché devo
disegnare quellalbero se posso guardarlo ?">>
Oggi possiamo guardare la risposta che a questo
quesito hanno dato i ragazzi del Centro Diurno, che non si sono
accontentati di guardare lalbero.

Testo della conferenza tenuta il 26 Agosto 2000
a Tambre (Belluno), in occasione della mostra "
prendo
il sole in faccia, bevo molta pioggia
" organizzata dal
Centro Diurno del Dipartimento delle Dipendenze di Conegliano,
Ulss 7 Regione Veneto.
Si ringraziano per la cortese disponibilità la
Direttrice della Biblioteca di Tambre; la Dottoressa Annunziata
Licci, organizzatrice dellincontro; la Dottoressa Michela
Frezza, responsabile del Dipartimento delle Dipendenze di Conegliano; il Dottor Alessandro Beccagli, co-ordinatore del
Centro Diurno del medesimo Dipartimento.

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